#3 - Leonor Fini - Le bout du monde

Questo scritto è parte del progetto "Viridiana", rubrica dedicata alla divulgazione della poetica di artiste contemporanee attraverso il racconto e la lettura di un trittico di opere.
Una donna dalla folta criniera cotonata, un lago lugubre, bucrani a pelo d’acqua che si rivelano nel loro riflesso, i loro occhi intatti.
Questo dipinto ha ispirato un frame del brano Bedtime stories di Madonna che diviene nel tempo un’importante collezionista delle opere della Fini.
Nella tela la donna ha sembianze incorruttibili, ma mostra un riflesso corrotto, poiché la decadenza - come annunciano le foglie in primo piano, accartocciate e riarse - è la cifra simbolico-realista del periodo artistico di Leonor che si snocciola a cavallo della Seconda Guerra Mondiale.
Le bout du monde (Il confine del mondo) si mostra come una natura morta “esplosa” i cui soggetti galleggiano su un’acqua nero petrolio.
Realizzata nel 1948, la tela è stata definita dalla critica come un’opera spartiacque nel suo percorso artistico che negli anni di guerra è segnato da un forte interesse per soggetti che potremmo definire “macabri”.
Ma negli scheletri Leonor riesce a vedere qualcosa di inalterabile, qualcosa capace di permanere nel tempo svelando il lato più intimo delle cose:
Lo scheletro, insomma, è l’uomo più interiore, l’essenza minerale dell’essere
Dirà Brion in una lettura critica delle opere di Leonor.
Durante il periodo bellico Leonor si rifugia con il compagno e amico Stanislao Lepri sull’isola del Giglio, abitando - o “infestando” - un castello in decadenza.
I due faranno lunghe passeggiate sulla spiaggia, raccogliendo ciò che le onde rendono alla terra ferma: rami contorti, conchiglie rotte, ossa e carcasse di pesci.
Regina del gotico, Leonor Fini popola come una presenza fantasmagorica gli ampi ambienti del monastero che divengono prolifici per la sua immaginazione, così come lo saranno le residenze di Nonza e di Tor San Lorenzo.
(Più tardi, negli Anni Sessanta, la Fini trascorrerà le sue estati presso un monastero abbandonato sulle coste della Corsica, a Nonza, dove sarà solita accogliere un corteo di amanti, amici e letterati).
Sull’isola del Giglio Leonor, nelle pause concesse dal fervore pittorico, intesse una fitta corrispondenza con André Pieyre de Mandiargues ricevendone scritti colmi dell’angosciante cronaca di una Milano devastata dai bombardamenti.
È indubbio che l’immaginario di Leonor sia alimentato dal resoconto di de Mandiargues, ma è altrettanto vero che l’estetica necrofila e il gusto per il macabro Leonor li mutua dalla lettura del manuale anatomico Alfabeto in sogno dell’artista bolognese Giuseppe Maria Mitelli, opera tardobarocca del 1683.
Qui Mitelli raccoglie incisioni di un alfabeto da lui illustrato e dedicato ai suoi allievi dove corpi di uomini e donne formano lettere inquietanti presentandosi in pose bizzarre e facendo eco a temi lugubri e talvolta funerei.
Su questo sito potete assaporare un estratto di Alfabeto in sogno di Mitelli.
Oltre a numerose nature morte, la Fini dipingerà un anno dopo L’Ange de l’anatomie, un bellissimo angelo scarnificato che mette in mostra, orgoglioso, le sue ossa e le fasce muscolari rimanenti.
Ma in Le bout du monde Eros e Thanatos (la pulsione vitale e la pulsione distruttiva presenti in ognuno di noi) si danno la mano: lei, con un corpo di bambola e un viso fermo, ci invita con il suo sguardo a penetrare le profonde acque scure.
Di lei vediamo solo il busto, il resto si nasconde nella profondità che serba i suoi segreti: il corpo di una sfinge?
La sfinge, da sempre cara a Leonor e rappresentata in moltissimi quadri, non è solo simbolo di mistero, ma anche di forza e veggenza, di una sicurezza che ci viene da un essere fuori dal tempo.
[...] L’acqua de Il Confine del mondo, invasa da seni di donna, bagna e sommerge la pittura di Leonor Fini. Ebbene, Freud dice che ‘alla base di numerosissimi sogni, che sono spesso colmi d’angoscia e hanno per contenuto [...] la permanenza nell’acqua, stanno fantasie sulla vita intrauterina, sulla dimora nel ventre materno e sull’atto della nascita.
Invece lo psicoanalista e antropologo Carl Gustav Jung ha restituito, in numerosi saggi, l’elemento dell’acqua come simbolo legato alla vita dell’inconscio: strabordante, incontenibile, ma anche e soprattutto purificatrice.
Sotto l’influsso della Luna, la marea può restituire alla secca tutto ciò che giace nelle sue profondità. L’acqua nasconde, ma restituisce sempre ciò di cui si appropria.
Il nostro inconscio - la nostra acqua interiore - si muove facendo ondeggiare l’anima: anche noi, come il mare, abbiamo momenti di secca e di piena, reflussi emotivi, riflessi che ci portano a largo lasciandoci senza orizzonte.
In Le bout du monde la Fini ci restituisce un paesaggio desolante, ma calmo, da cui una maliarda ci guarda.
Sembra voler dire che quell’acquitrino scuro in cui è immersa è il prodotto delle nostre azioni che hanno travolto e sommerso ogni isola abitata.
La guerra è stata la piena emotiva che ha fatto vacillare i residui più reconditi della nostra ragione. Lei ne è stata testimone ed è pronta a sfidare le acque putride con un bagno catartico destinato a chi non ha perso la capacità di vedere il rovescio della Storia.