No time - Minus.log

a cura di Martina Lolli
21 maggio 2016
Dr Medical - Teramo

Esiste non solo una contaminazione di arti ma anche di spazi: l’intervento di Minus.log all’interno dell’esposizione “Inquietudini speculari” ne è un esempio. 
Minus.log, collettivo composto da Manuela Cappucci e Giustino Di Gregorio, si dedica alla realizzazione di opere di varia natura come installazioni audiovisive, stampe e lavori pittorici. In queste opere, elementi semplici come linee di luce e forme minimaliste, interagiscono con superfici, sculture o ambienti che addolciscono il loro rigore formale, giocando negli interstizi del senso e della logica come l’errore, l’attesa e la ripetizione.

Nel mese di aprile si è tenuta la prima personale di Minus.log intitolata Quello che rimane e aperta al Museolaboratorio di Città S.Angelo, un luogo tanto suggestivo quanto imperfetto che ha fatto da contrappunto alla perfezione delle installazioni audio-visive ivi presentate. Il risultato è stato quello di dare calore a una tecnologia che in particolari contesti ma soprattutto, se relegata a particolari finalità, può risultare fredda, volta unicamente a veicolare informazioni e a tessere connessioni informative globali. Al Museolaboratorio le connessioni che si sono instaurate sono state, invece, emotive e hanno accompagnato un pensiero sciolto dalla logica della produttività a tutti i costi. 
Allestire all’interno degli ambulatori DR Medical è un’opportunità per vedere come le opere – alcune delle quali realizzate appositamente per lo studio – si esprimano in ambienti così puliti ed essenziali e nell’architettura e nell’arredamento, ma anche per approfondire la ricerca sulla temporalità soggettiva avviata al Museolaboratorio. 


Ad avvicinare l’arte di Minus.log e l’universo medico non è solo l’estetica basata sulla purezza del bianco e delle forme, ma anche il viaggio introspettivo che comincia quando l’individuo – fruitore delle opere o paziente che sia – si trova a esperire un lasso di tempo caratterizzato da una condizione di immobilità fisica: essere in sala d’attesa o in un periodo di convalescenza equivale spesso a un momento di lavoro su se stessi in cui il tempo rallenta e si dilata e lo sguardo si volge all’interno. 
La stessa contemplazione dell’arte richiede l’essere fermi davanti a un’opera, per recepire ciò che ci riguarda, quanto e perché quell’opera riesca a toccare le corde della nostra anima. Così queste analogie si rafforzano nelle opere presentate e si declinano in diversi stadi temporali: 
Cura, retroproiezione su una porta di vetro, ci parla dell’attesa e di come in questo frangente il tempo sia scandito da una lancetta immaginaria che oscilla fra pensieri lucidi e pensieri divergenti che affiorano inconsciamente; l’installazione Cure 01, invece, rappresenta un taglio in cui epidermici giochi di luce ci invitano a colmarlo empaticamente: il lavorio sotterraneo di una ferita è riportato in superficie e l’attesa qui è necessaria a entrare nel profondo, dove l’integrità del corpo corrisponde alla salute dell’anima. 
Le stampe della serie Alone si ripetono nello stretto corridoio segnando il percorso individuale di chi attraversa diverse sfumature emotive – diversi stati d’animo – che conducono all’Installazione No Time, un prelievo visivo tra infiniti prelievi possibili, dove una porzione di mondo scelta dalla nostra sensibilità e astratta dal suo contesto, acquista nuovi valori; qui la temporalità, sfaccettata in tre diversi momenti – tre diversi prelievi con un loro particolare spazio-tempo – si condensa in una manciata di minuti da esperire in un unico istante.

La contemporaneità di tre diverse situazioni equivale alla sospensione del tempo.

La serie di tele Try Again rappresenta, infine, lo stadio di una sensibilità aumentata, perché per recepire le più lievi nuances delle tele, c’è bisogno di una percezione acuita capace di mettere a fuoco gli strati più impalpabili di colore e tentare di visualizzare ciò che rimane di queste trasparenze. 
Con queste premesse arte e scienza, sebbene diverse nello scopo, condividono un percorso, quello di una cura che sia una trasformazione lenta e irreversibile in cui prendiamo coscienza che ogni attimo vissuto è ciò che noi accettiamo come reale.